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Steve McCurry, A Retrospective

20.10.2013 10:29

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Fujifilm X E2: evoluzione nella tradizione

14.12.2013 14:51
Fujifilm X E2
Preso dalla curiosità di toccare con mano i miglioramenti apportati alla X E1 mi sono procurato la sua evoluzione e, non contento, ho voluto corredarla del Fujinon xf 27 mm f/2,8.
Come sempre in questa sede si parla di sensazioni d'uso soggettive lasciando ad altri ben più qualificati il compito di testare scientificamente prestazioni e resa. Le immagini a corredo sono tratte ancora una volta dal grandioso palcoscenico della Capitale e rappresentano situazioni sia standard che limite nell'intento di dare la percezione degli scenari possibili nell'arco di una intera giornata. Sono JPG direttamente impostati "on board" con profilo pellicola Pro neg H.
Si parte ovviamente da una ottima base ben consolidata, della quale si è parlato forse a dismisura, per cui ci soffermeremo soltanto sulle novità di maggior rilievo.
Prima piacevolissima conferma: l'accensione è istantanea ed il tempo di configurazione ( quel fastidiosissimo ritardo nel mostrare la scena correttamente esposta ) notevolmente diminuito rispetto alla prima serie. La macchina, avendo fama di grande consumatrice di energia, perde purtroppo un importante comando diretto per la configurazione di EVF ed LCD posteriore in favore del tasto Q traslato a sua volta dalla parte destra della fotocamera per permettere lo sdoppiamento dei pulsanti AF-L ed AE-L. Per chi è abituato a rivedere costantemente le immagini sul grande display posteriore il tutto comporta una scelta di configurazione meno "elastica" e potenzialmente più onerosa in termini di consumi. Ovviamente ciò che si è perso in riproduzione lo si recupera in ripresa con la possibilità di gestire al meglio le opzioni di blocco AF ed AE.
I tasti personalizzabili diventano 4 ( non sono mai abbastanza...) ampliando notevolmente il ventaglio di scelte per cucire addosso alle proprie esperienze d'uso la nostra X E2: molto molto bene. 
È stata aggiunta la connessione WI-FI che permette in modo molto minimalista di scaricare direttamente nel pc, nel tablet o nello smartphone le immagini scattate dando la possibilità di geotaggarle e di condividerle istantaneamente tramite apposita applicazione Fuji.
Niente controllo in remoto per la gioia dei puristi di analogica memoria che possono bearsi anche di quella che è probabilmente la novità di maggior rilievo della macchina : stiamo alludendo al nuovo sensore x-trans 2 che cela al suo interno sensori specifici per il rilevamento di fase nella messa a fuoco.
Di ciò ne beneficiano ovviamente la precisione e la velocità degli automatismi per la focheggiatura sopratutto in condizioni di scarsa illuminazione 
ed altresì ne beneficia anche la cara messa a fuoco manuale che guadagna un moderno stigmometro a immagine spezzata di grande aiuto in particolari situazioni di ripresa e nell'utilizzo di ottiche non originali.
Queste sono le più significative novità nella evoluzione di un apparecchio nato già buono ed oggi divenuto più maturo e completo, estrema sintesi di un indovinato sodalizio tra vintage e tecnologia che da risposte concrete alle richieste degli appassionati che non si accontentano di fare solo buone foto...
 
 
Fujinon xf 27 mm f/2,8
Un ottica piccola, leggera e poco ingombrante, che con i suoi 40mm equivalenti ben si sposa con la fotografia di reportage e di strada. Poco appariscente e mediamente veloce ha dalla sua una qualità ottima in rapporto a prezzo e dimensioni ma in nome di quest'ultime sacrifica la tanto amata ghiera dei diaframmi...
In sintesi è un ottica ideale per chi ama fotografare "in punta di piedi".
 
Perché passare dalla M6 alla X E2 ?
Dopo l'ubriacatura da digitale avuta grazie alle prime reflex dotate di sensore elettronico immesse sul mercato, abbiamo avuto un un po' tutti un rigurgito analogico. Poi ecco la seconda grande ubriacatura ma, questa volta, da analogico che ci ha fatto fare i conti con costi lievitati in proporzione alla rinnovata domanda ( ma non dovrebbe essere il contrario? ) e sopratutto con la mancanza fisiologica di tempo da dedicare ad un modello di approccio fotografico che richiede molta, molta, ma proprio molta calma e pazienza... E così eccoci di nuovo ad un bivio: analogico, con il suo carico vintage di odori, manualità, meditazione e fascino retrò, oppure digitale con la spinta tecnologica volta ad ottenere sempre la perfezione in tempi brevi sotto il mantra della condivisione? La mia risposta personale è stata Fujifilm x E1 prima ed E2 dopo: apparecchi chiaramente figli dell'era digitale, con soluzioni tecnologiche d'avanguardia ed una qualità d'immagine davvero impressionante. Ma la filosofia che si cela dietro a questo mainstream di opzioni innovative è data da un design semplice con abbondanza di tasti e ghiere fisiche che donano alla nostra un look d'altri tempi ed un esperienza d'utilizzo molto intuitiva. Altro aspetto estremamente importante è quello correlato al flusso di lavoro: praticando fotografia a livello professionale sono costretto, a volte volentieri a volte decisamente no, ad effettuare lunghissimi tour de force davanti al monitor per trasformare scatti grezzi in fotografie correttamente fruibili. Ora, cercando di ritagliare spazi adeguati anche per il lato ludico e passionale della pratica fotografica, avevo necessità di non inquinare il tutto con estenuanti sessioni di ottimizzazione e fotoritocco al computer. Bando allora agli amati/odiati Raw e spazio ai Jpg nativi con gli adeguati profili pellicola che rimandano alle gloriose negative ed invertibili della casa verde tanto apprezzate da amatori e professionisti di tutto il mondo. Ora la mia M6 lavora molto meno ed i mie rimorsi si affievoliscono sempre di più....
 

Gordon Parks fotografo, ovvero la realizzazione di un utopia.

14.12.2013 12:31
Nell'era della globalizzazione, dove cadono senza soluzione di continuità a mo' di domino tutti i vari steccati geografici ed ideologici, la fotografia sembra essere sempre più importante e significativa  nei processi di comunicazione. A volte tuttavia il ruolo istituzionale di una determinata disciplina può assumere connotati differenti pur conservando le medesime caratteristiche di partenza ( la fotografia non fa eccezione ) andando a colmare vuoti o ad innalzare vette su terreni differenti tra loro. Gordon Parks ha brillantemente asservito la fotografia al suo scopo primario confermandone, se mai ce ne fosse stato bisogno, importanza e centralità . Altresì, più o meno inconsapevolmente, ha alimentato anche l'aspetto simbolico legato alla pratica fotografica e nel caso specifico all'entità stessa del fotografo. Stiamo parlando del primo fotoreporter di colore ad aver oltrepassato la cortina dell'anonimato in un periodo storico ed in un contesto geografico che suggerivano, anzi imponevano l'esatto contrario. Siamo nel pieno di un'epoca in cui la segregazione razziale raggiunge picchi elevatissimi precludendo agli afro-americani qualsiasi ambizione diversa da quella in cui erano confinati: una sorta di ghetto tanto invisibile quanto tangibile all'interno del quale tutto era terra di conquista. In questo contesto ostile è nata quasi miracolosamente la stella di un fotografo che ha saputo fare della necessità di sopravvivenza una virtù così al di sopra delle comuni aspettative da centrare l'obiettivo di entrare a far parte del gota mondiale della fotografia. Un sogno, anzi una utopia trasformatasi in realtà grazie a grande talento e smisurata abnegazione di un individuo che ha realmente vissuto sulla propria pelle esperienze di vita difficili e complesse traendone linfa vitale per affrontare le durissime sfide a cui è stato chiamato. Un desiderio ed una determinazione volti al riscatto grazie anche e sopratutto alla poliedricità culturale sue prerogative innate. Musicista, scrittore, giornalista e grande fotografo, Parks ha saputo sapientemente coniugare facce diverse della stessa medaglia:  da grandissimo indagatore dei meandri più infimi della società americana a sublime ritrattista e fotografo di moda, in grado di caratterizzare il suo operato con soluzioni originali, innovative e rivoluzionare: si veda l'intuizione, geniale, di liberare le modelle dalla gabbia fredda ed asettica degli studi fotografici per ritrarle in contesti urbani intrisi di vissuto quotidiano.
Un personaggio mai fermo sulle posizioni -di privilegio- meritatamente conquistate ma in continuo fermento, prototipo perfetto del foto giornalista eclettico e con il non trascurabile  vantaggio di possedere le chiavi d'accesso in contesti e realtà difficilmente penetrabili: la sua estrazione sociale unità al suo forte e determinato impegno nello scovare e portare alla luce storie dimenticate di miseria e prevaricazione lo hanno reso fotografo ufficiale della lotta per i diritti dei più deboli e di quella non meno importante e significativa verso l'integrazione razziale. Un ruolo universalmente riconosciutogli che è stata anche spinta decisiva per fantastici reportage sociali come, ad esempio, quello sui musulmani neri d'America commissionato da Life e svolto con piena ed assoluta libertà espressiva e di manovra ( testi a corredo del servizio compresi) essendo, e non a caso, l'unico foto giornalista accettato nella comunità.
 

Fuji XF 35 mm f/ 1,4

27.09.2013 22:14

 

 

 

Della Fuji XE-1 si è già detto molto, tanto, forse anche troppo. Stesso discorso per l'ottica XF 35 mm f/ 1,4, tra i best seller di casa fuji.
Vi domanderete: perchè parlarne ancora?
Tralasciando tutti gli aspetti tecnici inerenti questi due piccoli gioiellini cercheremo di concentrare l'attenzione esclusivamente sul target per cui sono stati concepiti: la fotografia.
 

Parliamo quindi della prova "su strada" dell'ottica  XF 35 mm f/ 1,4, un 35mm equivalente ad un classico 50mm su formato pieno. Fino ad oggi ho utilizzato la XE-1 quasi esclusivamente con il compatto 18 mm XF f/2 (ottica leggermente troppo grandangolare per i miei gusti) e raramente con ottiche Voigtlander tramite specifico anello adattatore. Per me con il 50mm è come tornare a casa dopo un lungo periodo di lontanaza, mi sento subito a mio agio come se il distacco non fosse mai avvenuto...

L'occasione per testare il nuovo acquisto è fornita da una passeggiata lungo le strade della capitale, sempre estremamente generose in termini di spunti fotografici. Settata la macchina con jpg on board e simulazione pellicola "neg pro h" ho potuto finalmente saggiare le doti del 35mm nel suo naturale terreno d'elezione: la  street photography .

C'è da dire che sia la macchina che l'ottica andrebbero conosciute ed utilizzate a fondo per poterne apprezzare i pregi e per ovviare agli inevitabili difetti intrinsechi ad un sistema giovane ed ancora non del tutto maturo come il neonato "fuji x".

La messa a fuoco automatica, ad esempio, non è propriamente un fulmine di guerra (specialmente per chi è abituato ad utilizzare macchine reflex) e volendo optare la le messa a fuoco manuale gli ausili software come il focus peaking non sempre garantiscono un feeling ed un efficenza ottimali. 

Tenuto conto di questi piccoli difetti di gioventù il resto è puro e semplice piacere di fotografare, potendo utilizzando un corpo macchina di estrazione dichiaratamente analogica (con pulsanti e ghiere al punto ed in numero giusto) ed un obiettivo con ghiera dei diaframmi sul barilotto che fa tanto vintage fondendo magistralmente l'esperienza d'uso "meccanica" con il progresso in campo ottico/elettronico.

Da assiduo utilizzatore di mezzi analogici (pratico ancora, quando posso, la camera oscura per sviluppo e stampa dei negativi) ho finalmente trovato qualcosa che rende meno traumatico il distacco, se proprio deve esserci, da un tipo di fotografia old style dove gli automatismi (comunque presenti) non incidono in modo preponderante nel processo costruttivo dell'immagine e la velocità operativa non occupa il vertice nella scala delle priorità del mezzo fotografico e di chi lo utilizza (fatti i dovuti distinguo legati ai generi affrontati ovviamente..). E' mia convinzione che non si possa prescindere dal medium e dal suo profondo ed intimo controllo per ottenere un esperienza totalizzante, tanto più quando questo medium va "cavalcato" piegandolo alle proprie esigenze. Un approccio filosofico che mira a creare una simbiosi uomo/macchina, una unità di intenti per superare la registrazione meccanica della realtà a vantaggio dell'interpretazione della stessa.

La fotografia è essenzialmente passione e piacere nel praticarla a prescindere dalla bravura e da bagaglio tecnico personale, quando poi i risultati ottenuti oltre a gratificare noi stessi meritano anche gli elogi dei fruitori avremo una gustosissima torta con tanto di ciliegina... 

Tornando al nostro 35mm, come era lecito aspettarsi la qualità  è da ottica di classe: le foto correlate ne testimoniano in partee per quello che possono la bontà tenendo conto che sono jpg direttamente sfornati dalla macchina senza elaborazione alcuna e sopratutto rappresentano situazioni abbastanza complicate per la gestione dei forti contrasti presenti nella scene riprese. 

La costruzione ed i materiali sono impeccabili. Anche nei dettagli traspare una cura costruttiva di primo livello (si guardi ad esempio il paraluce fornito in dotazione). La presenza della ghiera dei diaframmi è una chicca che regala un feeling insperato a tutti coloro che hanno sulle spalle anni di pratica analogica ed è una piacevole novità per coloro che sono nati fotograficamente in era digitale.

Ma l'aspetto che a mio avviso rende l'obiettivo in esame degno di essere apprezzato e magari anche acquistato è un carattere che emerge prepotentemente, senza mezze misure: non stiamo parlando della perfezione in termini di nitidezza, distorsione e coma (i classici parametri misurati in laboratorio che, anche se importanti sotto determinati aspetti, poco hanno a che fare con la "resa" effettiva di un ottica se non nel suo esame video ad ingrandimenti improponibili..) ma della sua risposta in termini cromatici ed ottici, capace di restituire colori saturi ma sempre naturali, contrasti decisi ma non aggressivi e stacco dei piani dolce e progressivo paragonabile a quello di ottiche di maggiore lignaggio e valore economico. 

Questi sono aspetti che fanno la differenza tra un'ottica di rango ed un'ottica normale e che sopperiscono in parte a peccati veniali come l'assenza della scala delle distanze, la rumorosita della messa a fuoco automatica e il  diaframma a sole 7 lamelle.

Per le caratteristiche tecniche e tutte le specifiche vi rimando alla pagina ufficiale del sito fuji:

https://www.fujifilm.com/products/digital_cameras/x/fujinon_lens_xf35mmf14_r/

Per il resto è questione di gusti...

 

"Il Chicago Sun-Times ha licenziato tutti i suoi fotografi"

02.06.2013 12:23

 

 

Il Chicago Sun-Times ha licenziato tutti i suoi fotografi

Il Post titola in questo modo una notizia che ha il sapore della conferma. Conferma di quanto era già nell'aria da diverso tempo ormai, ovvero una emorragia in seno al mondo dei media che sta rivoluzionando tutto il sistema. Avevo accennato al sempre più frequente ricorso di numerose testate al  giornalismo partecipativo  con il risultato inevitabile di un decadimento qualitativo a supporto dell'informazione. Ora questa notizia apre ad uno scenario completamente diverso rispetto ai consolidati (...ma poi non troppo!!) schemi che hanno regolato il mondo dell'informazione sino ad oggi. I fotografi vengono licenziati in tronco ed il loro posto asseggnato ai giornalisti autori degli articoli. 

Prima considerazione: la Fotografia viene relegata (o quantomeno considerata) ai margini del sistema informativo. Il video assume un ruolo sempre più importante delineando la traslazione dal supporto cartaceo a quello digitale: una certificazione del peso specifico di rilievo raggiunto dalla multimedialità.

Seconda considerazione: la crisi del settore giornalistico è indipendente da quella globale ed ha cause differenti da quelle meramente finanziare. Se anche un paese come gli USA, tradizionalmente impegnato nella promozione dell'eccellenza, inizia a allentare il cordone della borsa, vuol dire che le risposte dell'utenza non sono più le stesse. L'informazione nell'era di internet ha preso strade diverse e difficilmente controllabili, guadagnando certamente in libertà ma non sempre in qualità. Il fenomeno è troppo complesso per poterlo condensare in poche righe ma il concetto risulta essere abbastanza chiaro: oggi la rete è la via maestra per traghettare l'informazione in un nuovo sistema di diffusione, più capillare, aggiornato in tempo reale, senza barriere geografiche, multimediale e partecipativo; l'esatto opposto della carta stampata.

La fotografia è la prima vittima illustre di questo cambiamento epocale, un paradosso se consideriamo l'evoluzione tecnica di cui ha beneficiato proprio grazie alle nuove tecnologie associate alla facilità di condivisione. Il video esporoprierà i naturali terreni d'elezione del medium fotografico in seno all'editoria dell'informazione, è un processo ineluttabile ed inarrestabile modulato sulla lughezza d'onda di un dinamismo esponenziale i cui attori a volte vestono anche il doppio ruolo di informati ed informatori. 

Partendo dal presupposto che qualsiasi sistema chiuso prima o poi si avvita inevitabilmente su se stesso annegando nel mare dell'autoreferenzialità, credo che in determinate situazioni (concetto espresso anche in altri post) la solidità del professionista sia l'unica in grado di restituire risultati all'altezza del fenomeno da gestire mediaticamente; non ci si improvvisa giornalisti ne tantomeno ci si improvvisa fotografi.

La scelta del Chicago Sun è molto pericolosa perchè è la rappresentazione di una stampa che deleggittimando il ruolo del fotografo finisce per delegittimare anche se stessa.

The Kiss, 1978

16.05.2013 17:27

 

 Joseph Szabo, the kiss 1978 dal libro Almost Grown. Ilford fp4, fotocamera cano f1

Questa foto, opera di Joseph Szabo è una delle tante, innumerevoli istantanee con un bacio protagonista. Estrapolata da un reportage sugli adolescenti newyorkesi iniziato nel 1972 è stata scattata nel giugno del 78 (non nel 77 come erroneamente indicato su alcuni siti...) con una Canon F1 su pellicola Ilford fp4. Assieme ad altri scatti è stata raccolta e pubblicata sul libro Almost Grown (oggi fuori catalogo) dove vengono raccontate le vicende di un gruppo di “quasi adulti” nelle loro attività quotidiane, definite da loro stessi del non fare nulla poiché collocate in una zona grigia della propria esistenza che non è ne lavoro ne gioco. Alcuni ragazzi coinvolti nel progetto sono anche scrittori in erba e propongono poesie a corollario delle foto che li ritraggono instaurando una compartecipazione emotiva legata a doppio filo alle storie narrate. Ne risulta un lucido spaccato di una società, quella americana a cavallo tra i 70' e gli 80' ricca di contraddizioni, di divisioni, di integrazioni e di ribellione culturale, ripresa attraverso le abitudini e le consuetudini di ragazzi di strada in una fase di intimo cambiamento. Un periodo di approccio alla vita affrontato a volte con aspro, quando non repulsivo, slancio di protesta con la messa al bando dei valori e delle regole sociali consolidate. 

Il risultato è un grande sunto del costume americano, nitida testimonianza di una realtà inquadrata da un punto di osservazione adulto ma complice del mondo adolescenziale, che fa un po’ di luce in una complessa realtà e nelle dinamiche che la regolano.

Ecco perché Joseph Szabo rappresenta al meglio il concetto di fotografo indagatore che realmente lavora per raccontare senza autocelebrazioni. Ecco perché un lavoro di ricerca elaborato pazientemente e nei tempi giusti rappresenta un attendibile modello di documentazione. Ecco perché il bacio immortalato nell’opera “The kiss” ha un sapore diverso dagli altri baci ben più famosi.

 

https://neworkesiwww.josephszabophotos.com

https://www.gittermangallery.com

La fotografia nei media

13.05.2013 17:52

Vorrei porre l'accento su un interrogativo che senz'altro tocca le corde di chi si occupa, di chi si interessa e di chi gravita attorno al galassia della fotografia:

Come viene trattata la fotografia dai mezzi di comunicazione di massa in Italia?

Piccola premessa: la fotografia, nell'accezione più ampia del termine, è indubitabilmente la protagonista assoluta ed indiscussa nel panorama delle testate giornalistiche sia cartacee che elettroniche. Anche in presenza di contenuti video possiamo sempre ricondurli (forzando un po’ il concetto) ad una sequenza di immagini e quindi ad una base meramente fotografica. Vorrei tentare di capire come l’argomento “fotografia” viene considerato e trattato da quella parte dei media che, è bene ricordarlo, vivono, sopravvivono e proliferano soprattutto diffondendo ed utilizzando immagini. Facendo un po’ di chiarezza potremmo immaginare la fotografia interconnessa a tre concetti fondamentali: la pratica, la diffusione e la fruizione.

La pratica, ovvero la produzione delle immagini, si può classificare in base ai contenuti ed al target; vale a dire che se i contenuti escono dall’ambito prettamente amatoriale, ludico e personale il target assume contorni professionali che ne influenzano fruizione e diffusione.

La fruizione a sua volta può essere di orientamento artistico/culturale, attingendo dai classici canali museali, dalle mostre o dalle infinità di eventi organizzati a supporto di una specifica ed approfondita visione ed informazione. Spesso la fruizione può avere connotazioni commerciali, per addetti ai lavori, che utilizzano sempre più le nuove tecnologie (internet in prima fila) per adempiere finalità connesse ai circuiti professionali.

La diffusione rappresenta lo snodo fondamentale da dove si dipanano i molteplici percorsi del medium fotografico.  Vi è la diffusione classica della carta stampata, dove nel tempo le immagini hanno conquistato maggior risalto appropriandosi di sezioni sempre più preponderanti all'interno dei giornali. Vi è poi la diffusione su riviste e periodici che devono le loro fortune al connubio tra fotografie e supporti di stampa qualitativamente superiori rispetto ai quotidiani. Internet è il fenomeno del momento, è l’ultimo arrivato ed in breve tempo sta conquistando l’egemonia del settore  soprattutto grazie alla sua capillare diffusione in grado di annullare le "vecchie" latenze tra produzione e fruizione. A volte le sfere professionali ed amatoriali si mescolano nel mare magnum della rete generando un volano di crescita legato alla compenetrazione reciproca nei rispettivi ambiti, carpendo tecniche, trucchi, segreti, tendenze gli uni dagli altri.

Ai margini di questi circuiti mediatici troviamo i canali di diffusione culturali , privati ed istituzionali: musei, mostre e festival dove la fotografia ricopre per lo più un ruolo artistico ricevendo solitamente cure ed attenzioni proporzionali all'effettivo valore.

Dulcis in fundo, ma non così dulcis, abbiamo il mezzo di diffusione per eccellenza, la tv, che sebbene muova il suo vorticoso giro partendo proprio dal singolo fotogramma, sembra disinteressarsi completamente della fotografia. L'argomento, talmente ampio che meriterebbe una riflessione a parte, mi spinge a sottolineare la completa mancanza (di tutta la tv, ma in particolare e per ovvi motivi di quella pubblica ) di programmi che ne trattino l’argomento. Credo che una tv di stato, per la quale elargiamo un contributo in abbonamento abbastanza salato (in rapporto a ciò che restituisce) abbia l’obbligo ed il dovere di ponderare gli spazi da dedicare all’intrattenimento diversificandoli con produzioni di interesse sociale e culturale. Oggi la nostra tv, nel disperato tentativo di rincorrere le emittenti commerciali in un terreno a loro congeniale, sta dilapidando delittuosamente un patrimonio di conoscenza e professionalità acquisito nel corso degli anni a beneficio di scimmiottanti programmi spazzatura. Le pochissime iniziative di carattere culturale e divulgativo vengono programmate in improbabili palinsesti ad orari irritanti. Qualcuno dovrebbe ricordarsi che un canone di abbonamento è una tassa a tutela di tutto tranne che dell’indecoroso spettacolo che ci propinano.

Questo tentativo di disamina sul rapporto tra fotografia e media non può non concludersi con un impietoso raffronto tra le principali testate on line del nostro paese (La Repubblica, Il Corriere della Sera e La Stampa) e quelle estere più famose: spazio dedicato, modalità di presentazione, qualità delle immagini e valenza delle stesse testimoniano una differente attribuzione di valore al concetto e all’espressione della fotografia, segnale inquietante di una sostanziale mancanza d’interesse sia da parte  dei nostri organi d’informazione colpevoli di non educare il pubblico ad una sana, corretta e consapevole fruizione di contenuti ( iniziando magari con l’utilizzo della figura del photo editor ) e sia da parte dello stesso pubblico reo di non pretendere giusta dignità per e dalla comunicazione per immagini. Il reportage è praticamente scomparso, vittima illustre di questo dinamismo portato all’eccesso. Tutto viene prodotto e consumato all’istante alimentando una dipendenza dalla notizia che talvolta diverge dall’approfondimento. Siamo informati quantitativamente e costantemente sulle notizie globali, spesso però rimanendo in superfice si da ingorarne le cause ed i retroscena e con il frequente risultato di una lettura distorta circa gli effetti da esse prodotti. Oggi la tendenza è quella di privilegiare il giornalismo partecipativo (mi riferisco ovviamente al lato fotografico), una vera manna per un settore alla costante ricerca dell'ottimizzazione e della razionalizzazione delle risorse giustificate dallo spettro (a volte spauracchio altre semplicemente alibi) della crisi finanziaria, presentandolo sotto le mentite spoglie di un positivo fenomeno culturale la cui reale efficacia, al contrario, assumerebbe valore qualora venisse integrata con il lavoro di chi spende la propria vita professionale per raccontare senza sfumature di morbosità, con occhio lucido ed obiettivo vicende complesse e delicate che meriterebbero ben altra considerazione.

 

Street Photography of Matt Stuar

10.05.2013 11:38

Street Photography of Matt Stuart from Duet Photographia on Vimeo.

 

 

Quando parlavo di contaminazioni in riferimento alle vicende di Vivian Maier  spiegavo che queste potevano avere valenza positiva in determinate circostanze ed eccone subito un esempio calzante. Il fotografo britannico Matt Stuar è senz'altro uno dei rappresentanti di maggior rilievo della fotografia di strada liberamente ispirato alle maggiori icone di questo filone come HenriCartier-Bresson, Robert Frank, Robert Doisneau, Lee Friedlander ecc. La fotografia di strada o street photography è un genere affascinante e difficile al contempo che racchiude in se elementi di difficoltà a volte estremi. D'accordo questo concetto potrebbe essere applicato a qualsiasi genere fotografico, ma nella street la possibilità di tornare a casa a mani vuote, se si vuole perseguire quantomeno il target dell'originalità, è altamente probabile. Fatte salve le difficolta di ordine tecnico dovute dalla repentina entrata ed uscita di scena dei soggetti da riprendere che impongono grandi velocità operative ancorché impostazioni preventive, tutto il processo tecnico risente di una forte compressione temporale con ripercussioni sulla difficolta di focheggiatura ( quando non si utilizzano gli automatismi di solito si predilige l'iperfocale) e di esposizione. Inoltre bisogna possedere grandi doti di mimetismo e di discrezione fondamentali al fine di non influenzare la spontaneità  della scena da riprendere. A tutto questo va aggiunto l'ostacolo maggiore che fa da spartiacque tra un fotografo normale ed un vero fotografo di strada, ovvero la capacità di saper cogliere (spesso prevedendoli) dettagli e sfumature al di sopra dell'ordinario, catturando pose bizzarre, espressioni innaturali, dando coerenza a soggetti di fatto incoerenti con accostamenti cromatici pittosto che geometrici ecc. Insomma sulla carta il compito potrebbe sembrare anche agevolmente praticabile, ma sul campo le possibilità che l'evento accada sono remote e le possibilità che qualora si verificasse possa esserci qualcuno ad immortalarlo sono ancora più esigue. É qui che entra in gioco l'abilità e la grandezza dei grandi maestri della fotografia di strada che a bagagli tecnici di rilievo hanno saputo associare capacità di sintesi, tempismi e perseveranza ai massimi livelli. Matt Stuar ha ampiamente dimostrato di appartenere a questa categoria di artisti. Le sue immagini strabordano di ironia, di accostamenti stravaganti ma di fatto armoniosi, di soggetti catturati i pose improbabili e che tuttavia traspirano naturalezza. Nel guardare le sue fotografie in sequenza sembra di esplorare un universo parallelo fatto di gente con tre braccia o con manici di ombrello al posto del naso, con strade popolate da figure mitologiche come un enorme uccello con la pancia d'acciaio e con corpi senza testa che vagano sotto la pioggia. Spesso bisogna tornare sull'immagine una seconda volta per cogliere l'ironia o la particolarità in essa nascosta e questo rende ancor più grande se vogliamo il suo sguardo che riesce a captare punti d'interesse andando oltre l'apparenza, la dove l’ordinaria osservazione non vede che la normalità. Last but not least la sua scelta espressiva rivolta all’utilizzo della pellicola (non rinnegando il digitale ma relegandolo alla sfera commerciale) e la sua ferma volontà di aderire alla realtà, senza interventi di elaborazione o manipolazione dei propri scatti in sede di post-produzione. Un approccio integralista che mira a instaurare un rapporto diretto con il fruitore senza trucchi e senza inganni sposando appieno la filosofia street.

alcuni scatti

https://www.mattstuart.com

AFTER HIROSHIMA: PORTRAITS OF SURVIVORS

09.05.2013 15:16

ilnegativo

Carl Mydans—Time & Life Pictures/Getty Images

In questa pagina mi sono imbattuto in una selezione di immagini (alcune delle quali inedite) curata dalla redazione di Life.com. Sono la testimonianza della devastazione che le prime bombe atomiche esplose sulle città di Hiroshima e Nagasaki hanno provocato. Ancora una volta dobbiamo benedire l'esistenza di una rivista come Life per la quale i migliori fotografi del pianeta hanno documentato una larga fetta di storia del xx secolo. Un immagine vale più di mille parole, ma in questo caso le immagini spingono al silenzio ed a una intima contemplazione per elaborare una tragedia ed un orrore che va oltre l'umana immaginazione. Questo è un altro limpido esempio di come la fotografia gioca ed ha giocato un ruolo fondamentale all'interno dell'informazione contribuendo ad edificare il muro della memoria collettiva e della storia in senso lato. Mi verrebbe voglia di tornare sull'argomento, più volte affrontato, riguardante il rapporto tra la fotografia, questo genere di fotografia e la nostra cara Italia, ma onde evitare di essere tacciato per un disfattista sorvolo lasciando consumare queste considerazioni sotto la cenere di un apparente fuoco spento.

La società è cambiata e con essa anche il modo di documentare e fare informazione, sono cambiati i metodi e sopratutto i mezzi: la diffusione planetaria e live delle notizie assieme alla copertura capillare e puntuale di quasi tutti gli eventi, grazie anche ai contributi del citizen journalism  e di internet, hanno ampliato a dismisura l'offerta globale rendendo partecipativa una popolazione numericamente sempre più importante. Tuttavia questa rivoluzione, che per certi versi è anche evoluzione, ha generato acuendola sempre più una problematica in seno alla qualità dei contenuti offerti. Sto parlando del fattore tempo che, sempre più compresso da ritmi incalzanti quando addirittura insostenibili, determina una trattazione delle tematiche poco approfondita, priva di empatia ed ancor meno di meditazione. Chi si occupa di informazione è conscio di non avere più a disposizione il tempo e le risorse necessarie per costruire un percorso valido e funzionale al racconto di una storia quanto meno credibile: reportages che in era analogica venivano preparati e pianificati con tempistiche idonee ad entrare in sintonia con ciò che si voleva documentare, oggi vengono elaborati  in una manciata di giorni quando non di ore. Una frenesia generalizzata che si ripercuote dolorosamente, condizionandole, sulle scelte effettuate in fase embrionale portando a scartare ciò che richiederebbe risorse troppo dispendiose.

La domanda è: qualità o quantità?

 

Vivian Maier

08.05.2013 15:30

ilnegativo

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Di lei è già stato detto tanto, tutto. Un autrice sconosciuta sino alla casuale compravendita dei suoi lavori da parte  un agente immobiliare con la passione per la storia locale di Chicago. Quello che probabilmente non è stato menzionato e che la differenzia tra questa autrice e gli altri mostri sacri della fotografia (o quantomeno dalla gran parte di essi) è la mancanza di, tanto per usare un termine in voga nell’ambiente artistico, contaminazioni. Mi spiego: le contaminazioni, per come le intendo io posso essere di due diverse tipologie. Una è relativa all' influenza delle opere e della poetica dei più grandi e noti fotografi (spesso investiti del doppio ruolo di vittime/carnefici) che giocoforza dissodano il campo dell’originalità con input sottotraccia che si insediano nelle vene creative dei praticanti fotografi. Questo ritengo sia anche un bene per la fotografia in quanto collocabile nella sfera dei processi evolutivi: si prende spunto dall’eccellenza per tentare di aggiungere qualcosa in più ed in meglio, rischiando si di scadere nell’emulazione ma, ove questo non dovesse accadere, si sommano originalità ad arricchimento. L’altro tipo di contaminazione è quella inerente l'ineludibile condizionamento dal successo e dalla popolarità: rimasta nell’anonimato per la sua intera esistenza di fotografa, Vivian Maier ha agito sempre per se stessa, per gusto e passione personali, in piena e libera autonomia espressiva. Non ha risposto ad alcuna committenza, ad alcuna aspettativa se non quella di se stessa verso il risultato perseguito. Un po’ come capita ai fotoamatori, il campo d’azione è privo di gabbie o di restrizioni fatte salve, ovviamente, quelle dettate dai limiti tecnici/logistici/operativi. Qui risiede, a mio avviso, il valore e la differenza di questa autrice che incarna a pieno lo spirito della fotografia eseguita non per necessità professionali e di riflesso senza vincoli nelle scelte espressive e nelle tematiche trattate. Il mondo è probabilmente pieno di tante Vivian Maier che hanno operato e continuano a farlo indifferenti e alle volte ignare del loro potenziale; nella maggior parte dei casi non avranno la fortuna di riempire le cronache artistiche ma la forza della fotografia prende energia anche da questa peculiare spinta che inebria a prescindere dalle affermazioni e dai risultai e nonostante le delusioni e le limitazioni. Siamo al cospetto di un'artista capace di ridurre idealmente il divario tra autori affermati ed autori anonimi. E se ciò per molti è soltanto una mera illusione, pazienza, tanto non cambia nulla. 

 

 

https://www.vivianmaier.com

https://www.vivianmaierprints.com

https://www.repubblica.it

Before and After D-Day: LIFE in England and France, 1944

03.05.2013 23:15

L'utilizzo del colore a dispetto del bianco e nero, può modificare la percezione di ciò che abbiamo sempre pensato, immaginato ed elaborato in qualità di "non testimoni diretti"?

La scollatura tra presente e storia (sempre in riferimento a chi non ha vissuto quella che oggi è diveunta storia) può essere in qualche modo rinsaldata mediante l'utilizzo di linguaggi e codici disomogenei rispetto a quelli collocabili nel contesto a cui i soggetti trattati fanno riferimento?

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 Frank Scherschel—Time & Life Pictures/Getty Images

 

 

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