Gordon Parks fotografo, ovvero la realizzazione di un utopia.

14.12.2013 12:31
Nell'era della globalizzazione, dove cadono senza soluzione di continuità a mo' di domino tutti i vari steccati geografici ed ideologici, la fotografia sembra essere sempre più importante e significativa  nei processi di comunicazione. A volte tuttavia il ruolo istituzionale di una determinata disciplina può assumere connotati differenti pur conservando le medesime caratteristiche di partenza ( la fotografia non fa eccezione ) andando a colmare vuoti o ad innalzare vette su terreni differenti tra loro. Gordon Parks ha brillantemente asservito la fotografia al suo scopo primario confermandone, se mai ce ne fosse stato bisogno, importanza e centralità . Altresì, più o meno inconsapevolmente, ha alimentato anche l'aspetto simbolico legato alla pratica fotografica e nel caso specifico all'entità stessa del fotografo. Stiamo parlando del primo fotoreporter di colore ad aver oltrepassato la cortina dell'anonimato in un periodo storico ed in un contesto geografico che suggerivano, anzi imponevano l'esatto contrario. Siamo nel pieno di un'epoca in cui la segregazione razziale raggiunge picchi elevatissimi precludendo agli afro-americani qualsiasi ambizione diversa da quella in cui erano confinati: una sorta di ghetto tanto invisibile quanto tangibile all'interno del quale tutto era terra di conquista. In questo contesto ostile è nata quasi miracolosamente la stella di un fotografo che ha saputo fare della necessità di sopravvivenza una virtù così al di sopra delle comuni aspettative da centrare l'obiettivo di entrare a far parte del gota mondiale della fotografia. Un sogno, anzi una utopia trasformatasi in realtà grazie a grande talento e smisurata abnegazione di un individuo che ha realmente vissuto sulla propria pelle esperienze di vita difficili e complesse traendone linfa vitale per affrontare le durissime sfide a cui è stato chiamato. Un desiderio ed una determinazione volti al riscatto grazie anche e sopratutto alla poliedricità culturale sue prerogative innate. Musicista, scrittore, giornalista e grande fotografo, Parks ha saputo sapientemente coniugare facce diverse della stessa medaglia:  da grandissimo indagatore dei meandri più infimi della società americana a sublime ritrattista e fotografo di moda, in grado di caratterizzare il suo operato con soluzioni originali, innovative e rivoluzionare: si veda l'intuizione, geniale, di liberare le modelle dalla gabbia fredda ed asettica degli studi fotografici per ritrarle in contesti urbani intrisi di vissuto quotidiano.
Un personaggio mai fermo sulle posizioni -di privilegio- meritatamente conquistate ma in continuo fermento, prototipo perfetto del foto giornalista eclettico e con il non trascurabile  vantaggio di possedere le chiavi d'accesso in contesti e realtà difficilmente penetrabili: la sua estrazione sociale unità al suo forte e determinato impegno nello scovare e portare alla luce storie dimenticate di miseria e prevaricazione lo hanno reso fotografo ufficiale della lotta per i diritti dei più deboli e di quella non meno importante e significativa verso l'integrazione razziale. Un ruolo universalmente riconosciutogli che è stata anche spinta decisiva per fantastici reportage sociali come, ad esempio, quello sui musulmani neri d'America commissionato da Life e svolto con piena ed assoluta libertà espressiva e di manovra ( testi a corredo del servizio compresi) essendo, e non a caso, l'unico foto giornalista accettato nella comunità.
 

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