AFTER HIROSHIMA: PORTRAITS OF SURVIVORS

09.05.2013 15:16

ilnegativo

Carl Mydans—Time & Life Pictures/Getty Images

In questa pagina mi sono imbattuto in una selezione di immagini (alcune delle quali inedite) curata dalla redazione di Life.com. Sono la testimonianza della devastazione che le prime bombe atomiche esplose sulle città di Hiroshima e Nagasaki hanno provocato. Ancora una volta dobbiamo benedire l'esistenza di una rivista come Life per la quale i migliori fotografi del pianeta hanno documentato una larga fetta di storia del xx secolo. Un immagine vale più di mille parole, ma in questo caso le immagini spingono al silenzio ed a una intima contemplazione per elaborare una tragedia ed un orrore che va oltre l'umana immaginazione. Questo è un altro limpido esempio di come la fotografia gioca ed ha giocato un ruolo fondamentale all'interno dell'informazione contribuendo ad edificare il muro della memoria collettiva e della storia in senso lato. Mi verrebbe voglia di tornare sull'argomento, più volte affrontato, riguardante il rapporto tra la fotografia, questo genere di fotografia e la nostra cara Italia, ma onde evitare di essere tacciato per un disfattista sorvolo lasciando consumare queste considerazioni sotto la cenere di un apparente fuoco spento.

La società è cambiata e con essa anche il modo di documentare e fare informazione, sono cambiati i metodi e sopratutto i mezzi: la diffusione planetaria e live delle notizie assieme alla copertura capillare e puntuale di quasi tutti gli eventi, grazie anche ai contributi del citizen journalism  e di internet, hanno ampliato a dismisura l'offerta globale rendendo partecipativa una popolazione numericamente sempre più importante. Tuttavia questa rivoluzione, che per certi versi è anche evoluzione, ha generato acuendola sempre più una problematica in seno alla qualità dei contenuti offerti. Sto parlando del fattore tempo che, sempre più compresso da ritmi incalzanti quando addirittura insostenibili, determina una trattazione delle tematiche poco approfondita, priva di empatia ed ancor meno di meditazione. Chi si occupa di informazione è conscio di non avere più a disposizione il tempo e le risorse necessarie per costruire un percorso valido e funzionale al racconto di una storia quanto meno credibile: reportages che in era analogica venivano preparati e pianificati con tempistiche idonee ad entrare in sintonia con ciò che si voleva documentare, oggi vengono elaborati  in una manciata di giorni quando non di ore. Una frenesia generalizzata che si ripercuote dolorosamente, condizionandole, sulle scelte effettuate in fase embrionale portando a scartare ciò che richiederebbe risorse troppo dispendiose.

La domanda è: qualità o quantità?

 

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